Quando Villa Borghese si tinge di giallo
La collana Lucciole di Marsilio ha l’intento dichiarato di proporre una “foliazione leggera”. Il piacere e il “tormento” di leggere Assassinio a Villa Borghese sono entrambi causati proprio dalla brevità dell’opera. Il primo giallo di Walter Veltroni si lascia finire in un paio di sere – come bere una bibita fresca tutta d’un fiato -, ma dopo aver terminato con soddisfazione l’ultima pagina, subentra il problema di non potersi intrattenere un po’ più a lungo con Giovanni Buonvino – come bere quella bibita e poi volerne immediatamente un’altra! Al commissario, infatti, ci si affeziona subito, perché fare il tifo per lui significa fare il tifo per noi stessi, le nostre goffaggini, le nostre segrete paure e i nostri talenti mai abbastanza riconosciuti. Che dire poi dei suoi collaboratori? Convincenti proprio perché male assortiti come accade nelle famiglie vere o in un gruppo di amici in cui ce n’è uno per tipo e tutti sono ugualmente necessari. Per fortuna alla soluzione del caso non corrisponde la soluzione della vita del protagonista, e viene da sperare che sia stato tutto calcolato in vista di un auspicabile seguito – breve pure quello però, così magari se ne potrà aggiungere un altro ancora.
Sebbene di delitti violenti si parli, Assassinio a Villa Borghese non è un thriller sanguinoso. Quest’opera assomiglia più a una commedia del mistero, dove ogni parola è colorata di un giallo intenso con sfumature gradevolmente classiche. Il ritmo è incalzante ma non pressante, lieve ma anche pregno di significati e percorsi possibili per chi desidera andare oltre. Tra le righe non manca un garbato invito a guardare da una prospettiva diversa la nostra cara Signora Roma, per risvegliare la meraviglia e l’affetto che quella vecchia dama è ancora capace di suscitare.
Alessia Pavan