Assassinio a Villa Borghese: quando un libro è più di un viaggio

Leggere Assassinio a Villa Borghese equivale a trascorrere un intenso weekend a Roma senza uscire di casa. A un buon lettore, infatti, basterà un fine settimana per terminare questo libro, che nella sua misura breve trova l’equilibrio perfetto.

Una collana di romanzi contenuti nel formato e nel prezzo, ma eleganti sia nella veste sia nella scelta dei narratori, è un’idea per la quale bisogna ringraziare Marsilio. Per la sfumatura classica di questo giallo – a partire dal titolo, che è un omaggio a Agatha Christie – e per l’umanità da “commedia del mistero” che lo caratterizza, bisogna invece ringraziare Walter Veltroni.

L’autore, da generoso comunicatore e garbato ascoltatore quale è, ha incontrato il pubblico alla Libreria Moderna di San Donà di Piave, creando da subito un diffuso clima accogliente. Aggressività e modi barbari tipici dei tempi recenti rappresentano ormai un problema di “inquinamento sociale”, e Walter Veltroni ha dimostrato che anche un piccolo giallo può servire per opporsi e lanciare un messaggio diverso.

“È la prima volta che mi cimento in questo genere letterario, anche se lo frequento sin da giovane, quando leggevo Agatha Christie e Simenon. Mi sono divertito molto a scrivere questa storia, che comincia come una commedia e poi prende un’altra direzione. Mi piaceva che un gruppo di imperfetti – perché siamo tutti imperfetti – guidati da uno sconfitto – ma nessuno lo è mai per sempre, e infatti anche Buonvino avrà la sua chance – venisse a capo di un rebus complicatissimo. Viviamo immersi in un presentismo assoluto, in una società bulimica, compulsiva e frettolosa. Non si ascoltano più gli altri. Ma le parole hanno un peso e non si può scagliarle addosso alla gente come coriandoli; le parole sono importanti e vanno salvaguardate. In ciascuno di noi c’è qualcosa di assolutamente poetico che vale la pena di essere ascoltato”.

… E di essere raccontato. Assegnare il ruolo del protagonista a un uomo come Buonvino suggerisce di impegnarsi con costanza per cercare nell’altro quel “qualcosa di assolutamente poetico”. D’altronde è impossibile non fare il tifo per questo personaggio e i suoi collaboratori, nella cui umanità viene spontaneo specchiarsi. È previsto un seguito?

“Inizialmente no. Ora, dopo il successo e l’affetto suscitati del commissario e dai suoi magnifici sette all’incontrario, posso dire di sì. Buonvino non è un super-uomo, però è molto intelligente, è malinconico ed è un cercatore. E poi ovviamente è un uomo in divisa”.

Il libro porta la dedica ad Antonio Manganelli, capo della polizia scomparso nel 2013, che Walter Veltroni definisce “un grande investigatore dall’umanità enorme”. Si scopre così che la dimensione di un contenitore non deve ingannare sulla sua reale capienza. In questo giallo, che abbiamo definito piccolo per motivi editoriali, oltre ad un elogio della ragione trova infatti posto anche un omaggio alle forze dell’ordine.

“Dove c’è una divisa non c’è solo un simbolo di sicurezza, c’è un essere umano che cerca di aiutare gli altri. Il caso Cucchi rappresenta un’eccezione, a dimostrazione che ogni categoria professionale può avere al suo interno persone che sbagliano. Dopo gli incidenti di Villa Giulia Pasolini scrisse una poesia in difesa dei figli del popolo in divisa che venivano presi a botte dai figli della borghesia. Ero solo un ragazzino, ma pensavo e penso ancora che avesse ragione”.

Villa Borghese a tratti irrompe nella scena quasi fosse un’altra protagonista del romanzo. Con tutto quello che le sta accadendo, dovendo assegnarle un ruolo, potrebbe vestire i panni della sopravvissuta?

“Più che una sopravvissuta direi un’isola, dove la bellezza resiste all’incuria. Villa Borghese è il parco culturale più grande d’Europa. Ma è anche un paradiso verde poco antropizzato e silenzioso nel cuore di una città molto rumorosa. Da ragazzino ci giocavo a calcio. Durante le partite vedevo sempre passare Padre Mariano – frate dalla lunga barba scura, che poi ritrovavo in televisione di sera – e Aldo Moro, seguito dal maresciallo Oreste Leonardi – che morirà il giorno del rapimento. Quando arrivava Moro, noi bambini fermavamo il gioco in segno di rispetto. Tra quelli che giocavano a calcio con me, ce n’era uno che anni dopo è finito in via Fani a rapirlo. Villa Borghese è questo e altro ancora”.

Una dichiarazione d’amore nei confronti di Villa Borghese che abbraccia simbolicamente le innumerevoli meraviglie del nostro Paese capaci di sopravvivere nonostante tutto. Con forza ma senza bisogno di urlare – perché Walter Veltroni ha un tocco lieve che scuote ma non travolge – il romanzo è un invito a non lasciarsi paralizzare da un’inciviltà di ritorno difficile da digerire. Come? Per esempio imitando il commissario Buonvino e scegliendo di fare la cosa giusta, anche quando ha tutto l’aspetto di una fregatura.


Alessia Pavan